Cos'è il gas flaring e perché avvelena l'ambiente

Cos'è il gas flaring e perché avvelena l'ambiente

La crescente preoccupazione per le tematiche ambientali che affrontano i problemi della salute a lungo termine del nostro pianeta si è ora concentrata sul fenomeno del gas flaring, il quale continua ad asfissiare l’atmosfera.
Ma quanto ne sappiamo in realtà su questo argomento?

Cos’è il fenomeno del gas flaring

Quella denominata “gas flaring” è una pratica (messa in atto dalle maggiori compagnie petrolifere del mondo) che, in fase di perforazione, consente di liberarsi dei gas naturali inutili accumulati nel sottosuolo.
Facciamo un po’ di chiarezza.
In italiano, gas flaring significa letteralmente “combustione di gas”. Durante il processo di estrazione del greggio dal sottosuolo tramite perforazione, capita che assieme al petrolio si incontrino anche riserve naturali di gas (in genere gas metano) che sarebbe eccessivamente oneroso estrarre ed elaborare. Così, quel gas naturale viene trattato come “materiale di scarto di lavorazione”, convogliato verso la cima della torre di perforazione (la cosiddetta “fiaccola”) e combusto. Questa pratica, oltre che negli impianti di estrazione petrolifera, è piuttosto comune anche negli impianti chimici, in quelli di estrazione di gas naturale o in impianti di perforazione offshore.

Un duplice danno

La pratica del gas flaring, che consiste quindi nel liberarsi di quegli accumuli di gas naturale considerati inutili, evidenzia un limite: l’incapacità di riconvertire adeguatamente gli stabilimenti e le piattaforme di estrazione petrolifera per far sì che questi siano autonomamente in grado di gestire quel gas naturale considerato “di scarico”. Se il gas fosse raccolto, immagazzinato e trattato per essere riutilizzato (nella maggior parte dei casi si tratta di gas metano, quello che alimenta i fornelli delle case di miliardi di persone al mondo) si eviterebbe lo spreco di una risorsa che il sottosuolo sprigiona naturalmente.
Riconvertire gli impianti dotandoli della capacità di trattare il gas naturale comporterebbe oneri molto maggiori degli introiti che si otterrebbero dalla vendita del gas. Questo è il primo problema: le maggiori compagnie petrolifere del mondo, per non andare in perdita, preferiscono continuare a inquinare bruciando gas metano che rilascia nell’atmosfera ingenti quantità di CO2. Questa modalità di produzione dannosa è connessa allo spreco di preziose risorse e si somma al cosiddetto “venting”. Non tutto il gas naturale infatti è soggetto a combustione. Alcune parti vengono disperse nell’atmosfera e sono più inquinanti del rilascio di CO2.
Si configura così un duplice danno: un enorme spreco di combustibile naturale che potrebbe essere tranquillamente utilizzato nella vita di tutti i giorni e un danno non quantificabile all’ambiente.

Il tentativo di invertire la tendenza

A partire dal 2013/2014, la Global Gas Flaring Reduction Partnership (GGFR), che raccoglie l’adesione di 80 governi, numerose compagnie petrolifere e istituzioni internazionali coordinate dalla Banca mondiale, si è impegnata a fondo per mettere in campo una sensibile riduzione del fenomeno del gas flaring. Impegno che gradualmente ha dato i suoi risultati.
Purtroppo nel 2018, la GGFR ha rilevato un’inversione di tendenza: i livelli di gas flaring sono nuovamente aumentati, a causa del balzo della produzione petrolifera statunitense, che ha li aumentati del 48% nel continente americano tra il 2017 e il 2018. Da cosa è dipeso questo incremento così importante? Le pratiche del gas flaring e del venting negli USA sono legali e non si sono mai realizzati impianti adeguati all’immagazzinamento dei gas naturali sprigionati dal sottosuolo durante l’estrazione del greggio. Stando a quanto comunicato dalla GGFR non tutti i dati sono negativi: Paesi come l’Angola, il Turkmenistan, la Nigeria e la Libia, grandi estrattori di petrolio stanno drasticamente diminuendo le emissioni di gas flaring e di venting.
Gli ambientalisti sono scettici, ma fiduciosi sulla possibilità di una presa di coscienza delle multinazionali coinvolte delle loro responsabilità verso l’ambiente.

Articolo pubblicato il: 24/11/2020