Il progetto di pulizia della Great Pacific Garbage Patch

Il progetto di pulizia della Great Pacific Garbage Patch

Il dramma dell’inquinamento dei rifiuti che affligge il pianeta, potrebbe essere ben rappresentato dalle eloquenti immagini della Great Pacific Garbage Patch, nota in Italia anche come grande chiazza di immondizia del Pacifico oppure come isola di plastica. A netto di metafore, si tratta davvero di un accumulo immenso di rifiuti galleggianti sull’oceano. Non è l’unica isola di detriti che affligge le acque della Terra, ma è una delle più studiate. Nel 2009, infatti, la no-profit Ocean Voyages Institute di San Francisco ha lanciato il progetto Kaisei, che interviene per difendere l'ecosistema oceanico e che ha l'obiettivo di bonificare quest’area tossica (e non solo) che devasta il globo terrestre.

Che cos’è la Great Pacific Garbage Patch

Un mondo letteralmente invaso dalla plastica: è questo lo scenario della nostra epoca. basti pensare che sono ben 396 milioni le tonnellate di plastica all’anno che vengono prodotte dagli esseri umani e solo poco più del 20% della plastica viene riciclato o incenerito, mentre la maggior parte va a finire in mare. Questo porta ad un aumento vertiginoso dell’inquinamento negli oceani e nei mari, costituendo una vera e propria minaccia per l’ecosistema marino, già fragile. Emblema di tutto ciò è la cosiddetta Great Pacific Garbage Patch, chiamata anche “Pacific Trash Vortex”. Dove si trova? Nell'Oceano Pacifico, tra la California e l’Arcipelago Hawaiano e si muove seguendo la corrente del vortice subtropicale del Nord Pacifico.
La dimensione della Great Pacific Garbage Patch non è conosciuta con esattezza: gli studiosi stimano che oscilli tra i 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km², dunque potrebbe essere equiparata alla superficie della Spagna o addirittura agli Stati Uniti. Questa estensione rende la Great Pacific Garbage Patch l’isola di rifiuti più estesa nel mondo.

Great Pacific Garbage Patch: un problema per il Pianeta

“Scoperta” nel 1997 dal velista Charles Moore, la Pacific Trash Vortex si è formata all’incirca 60 anni fa ed è composta soprattutto da plastica, metalli leggeri e residui organici in decomposizione. Una grande chiazza di rifiuti che molto presto, continuando ad espandersi a questo ritmo, sarà anche visibile dallo spazio. Uno dei problemi maggiori è la presenza di materiali non biodegradabili, come l’attrezzatura da pesca abbandonata (reti, corde, etc.) in gran parte trascinata dallo tsunami che si abbatté in Giappone nel 2011. Molte delle cosiddette ghost nets sono delle trappole mortali per la fauna dell’oceano, come foche e balene. Inoltre, i frammenti delle microplastiche costituiscono un pericolo sempre più grave per gli animali marini che le ingeriscono, senza contare che, alla fine della catena alimentare, spesso, la plastica arriva fino ai cibi che mangiamo, contaminando anche noi.

Great Pacific Garbage Patch: il progetto di pulizia ambientale

A seguito della formazione di questa minaccia all’ecosistema marino, è nato nel 2009 un progetto virtuoso denominato Kaisei “Ocean Planet”, coordinato dall’Associazione Ocean Voyages Insitute (Ovi) di San Francisco. Anno dopo anno il gruppo di biologi e marinai ha iniziato ad organizzarsi per compiere quella che è stata definita dagli esperti, la più grande pulizia dell’Oceano nella storia. Quest'estate, infatti, in soli 48 giorni sono state raccolte ben 103 tonnellate di rifiuti, poi collocati nei vari centri di riciclo. La missione scientifica è partita a bordo della nave Kwai, lunga 42 metri, provvista di radiofari galleggianti che grazie ai Gps consentono di ispezionare l’area e pianificare il lavoro di recupero della massa di spazzatura in mezzo all’oceano. E proprio la tecnologia Gps è stata fondamentale per l’operazione ambientale, grazie ai localizzatori satellitari che sono stati agganciati alle reti per permettere di monitorare le correnti. Già a giugno dell’anno scorso il team Kaisei ha raccolto 48 tonnellate di rifiuti durante due viaggi in mare, ma questa tappa di luglio ha rappresentato un successo maggiore e non possiamo che attendere la prossima missione per smantellare, finalmente, questa piaga che contamina l’oceano e il pianeta.

Articolo pubblicato il: 29/10/2020